Farfalla arancione poggiata su una foglia gialla

L’essere dentro il fare

Cos’è il fare? Hai mai osservato le tue azioni, in quale modo partecipi alla vita? Nel tuo dedicarti al fare, tu ci sei? Sei presente in ciò che fai? Quello che fai, lo fai perché ne senti il dovere, e quindi resti separata/o dal gesto, oppure respiri l’unità della mente con le mani? Che tipo di sentimenti ed emozioni vivi in quell’atto? In quale rapporto sei con le cose? Come ci stai?
Non è molto importante quello che facciamo, ma come lo facciamo.
Se noi stiamo dentro l’azione, se siamo presenti, e se diamo un valore a ciò che stiamo facendo, qualunque cosa facciamo, anche la più umile, è sacra.
Allora il fare le cose quotidiane diventa un fatto fuori dall’ordinario. Perché? perché è uno scoprirti nell’atto, un modo di esplorarti nel gesto, se ci sei, non ci sei, come ci sei, se ti piace ciò che fai o non ti piace. Scoprire la bellezza del tuo gesto e dell’oggetto che incontri nel tuo gesto.
A quel punto cominci a vivere una vita significativa, consapevole, attenta e non di superficie, e  in quell’atto sei riconsegnata/o a te stessa/o.
Tuttavia, per riappropriarsi di sé, occorre essere nella presenza e in profondo ascolto dell’esistente.
Occorre recuperare il rapporto con l’interno e il tuo modo di essere nel mondo. Altrimenti lasci che cada dalle tue mani il filo che li collega entrambi e con esso la gioia e la curiosità esplorativa e conoscitiva del sé e della realtà.
Occorre incontrare la vita attraverso l’agire consapevole privo di automatismi, e della routine in cui tu ti svuoti, e creare uno spazio intimo dove ritrovarti come risorsa e  valore.
Tuttavia, per attuare questa rivoluzione, è importante che il tuo io ritorni ad essere flessibile, morbido, permeabile e capace di esplorarsi, conoscersi, porsi domande, sperimentarsi ogni giorno in modo nuovo. In tal senso potrà crescere il suo entusiasmo per l’esistenza e sarà in grado di stabilire un contatto autentico con essa.
Si racconta che Gandhi obbligò sua moglie a pulire le latrine e che lei si rifiutò per il fatto che  quello era il ruolo della casta inferiore, quella degli intoccabili. Gandhi le disse che se si fosse rifiutata a svolgere quella mansione poteva andarsene dall’ashram in quello stesso momento.
Il suo intento, seppur severo, non era solamente quello di insegnare alla moglie di mettersi al posto degli ultimi, ed essere da esempio a quelli che volevano mantenere con tutte le loro forze la rigida separazione del popolo indiano in caste, ma per insegnare che l’Anima non ha preferenze, ogni cosa è sacra all’Anima, se la si fa con amore, attenzione, consapevolezza e presenza.
Lasciarti penetrare profondamente da questo insegnamento, sarà occasione di vita nuova e l’acquisizione di uno spessore così forte, da irradiare nel mondo come luce di verità e interezza.
Ma per raggiungere questo livello del tuo essere occorre avere una forte motivazione: l’amore per te stessa/o e per la conoscenza.
L’amore di sé è qualcosa che nasce da dentro quando non ci sono troppi rumori; in quello spazio sacro dove ci sei solo tu, nel silenzio che tu sei, nel tuo vero silenzio.
È ricongiungerti a te stessa/o, saperti preziosa/o, comprendere che all’interno della creazione porti la tua unicità e che è importante.
Ma se tu manchi a te stessa/o e superficializzi le azioni, vanifichi questa possibilità, e l’Universo possiede qualcosa in meno.
Quindi è un atto di responsabilità non solo verso se stessi, ma nei confronti del Tutto, che attraverso di te evolve. Comprendi quanto siamo importanti? Quanta importanza hai, quanto valore hai, quanta ricchezza hai dentro?
Una mente attenta a quello che fa, a come lo fa, mentre lo fa è libera di creare consapevolezza e qualità di vita.
Ogni forma di indolenza viene spazzata via quando vivi nella presenza. Sai cogliere nel movimento della vita la tua impronta. Scorgi nel fare il tuo essere, la tua qualità, il tuo stile, la tua competenza .
Quando sei presente sei dentro qualunque cosa, hai una mente sveglia, attenta, percettiva e meravigliosamente viva.
Le tue mani diventano maestre nel toccare la materia e trasformarla in coscienza. Esse profumano di senso e libertà interiore; non cercano la perfezione del gesto, ma l’estro, l’attimo, la tua apertura mentale, la tua capacità intuitiva e ricettiva. Cercano l’alto, il dialogo con l’alto, che è il dialogo con l’Anima, e il tuo abbraccio inclusivo che annulla ogni separazione e si espande per contenere il mondo, che è il campo della tua rappresentazione.

ballerina sul lago

La tua diversità è un punto di forza

La tua diversità è un punto di forza.
Gridala a gran voce, falla sentire sulla pelle degli altri, lascia che la sfiorino, la saggino, ne facciano esperienza, sia che la scaraventino dalla parte opposta della via o che la accolgano come il dono di un linguaggio nuovo, che impreziosisce il loro essere.
Sappi tenere fede al tuo seme, poiché è la tua essenza che spinge alla sua espressione.
Nell’Universo non c’è nulla che sia uguale ad altra cosa, poiché siamo parte di un movimento creativo eterno e unico, che mai si ripete.
Una coralità, che per essere tale, deve integrare le diverse voci; suoni che hanno un potere di realtà solida, idee incarnate della Coscienza Superiore.
Rivolgi il tuo sguardo verso i tuoi luoghi interiori, giungi a te stessa/o e non sostare nello spazio altrui.
Esci dalla via consueta, allontanati da chi ti vuole conforme, adattata/o, piegata/o al pensiero pensato e vittima dell’intento comune.
La tua unicità è un valore per il mondo, sei una sfumatura di colore da proteggere, una ricchezza di contenuti ed esperienze da accogliere e l’alveo nel quale l’altro può imparare e crescere.
Non importa in quale modo, se per attrito o risonanza, la tua energia, comunque, viaggia, incontra, muove e smuove, attrae e respinge.
Cosa?
I piccoli regni umani circondati da alte mura e fossi, dove è difficile penetrare e portare il fuoco della differenza.
Ma tu non retrocedere e, con grazia di comportamento, sii quello che sei, semplicemente.
Lascia che sia il potere della tua essenza a presentarti, e li commuova, li stupisca, se sono sufficientemente aperti, oppure li faccia saltare dalle loro sedie, se toccati nel profondo da ciò che esprimi.
Tu sei un pensiero originale, che nasce dal campo illimitato dell’Essere, intuito, esplorato, vissuto.
Un miracolo della natura, che si rinnova lasciando sorgere nuove parti di sé e un nuovo modo di intendere il mondo.
Lascia che la realtà esterna perda la sua nitidezza e concentrati sul tuo sbocciare, dai vita al tuo potere realizzativo e rivela la forza interiore del tuo cuore aperto.
Resta nella tua spaziosa e indipendente solitudine, nei tempi vivi dei tuoi ritmi, in quel campo da cui zampilla sempre nuova coscienza, ininterrottamente, e modifica prospettive ristrette, le tue, quando non sei il tuo punto di riferimento, ma lasci agli altri il diritto di sollevare i loro interrogativi e di porre fine al tuo splendore.
La tua vera diversità non consiste solo nel seme che germoglierà come sacra espressione della tua unicità, ma nella capace mutevolezza del tuo essere, e libera rivoluzione interiore.
Nel suo sovvertire le vecchie strutture ti rinnova e acquisti profondità e autenticità. Ti avvicini sempre di più alla tua vera modalità espressiva e ti allontani dalla stretta morsa delle verità parziali, che non raccontano chi sei, ma descrivono le altrui esperienze, totalitarie, assolute, definitive.
La meraviglia del tuo lasciarti accadere, muove i tuoi passi verso il futuro e risale la Sorgente per incontrare la tua visione e farne esperienza spirituale e istante magico della tua creazione.
Sostieni la tua grande opera, concepisci il tuo tratto distintivo come la preziosità che in te dimora.
Spingi con forza tutto il tuo essere alla sua realizzazione e dimentica te stessa/o ad ogni passo compiuto per farti sempre nuova/o.
Danza la tua vita come se non ci fosse nessuno, fanne la tua preghiera e il tuo rito sacro. E rilassati in quell’eterno divenire senza i plausi di chi approva e gli sguardi di chi avversa.
Sii nella tua totale presenza nell’azione e immersa/o nel silenzio consapevole senza scelta.
Sii naturalmente semplice e attendi con fiducia lo sgorgare della tua vera natura. Non cercare di dimostrare chi sei, ma sii la tua pienezza, senza sforzo alcuno.
Lascia respirare il tuo vero volto e privalo delle maschere che lo vorrebbero più simile al mondo.
Non accettare nessuna conclusione di te stessa/o perché tu possa stupirti nello scoprire che non c’è limite espressivo alla tua bellezza.

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Creo, dunque divento

Il femminile è l’evidenza germinativa della creazione. È il potenziale inconscio che assume immagine e forma, e il penetrante sguardo interno, che cattura la certezza in un istante. Prerogative, queste, del femminile che è in ognuno di noi, dell’essere umano in genere, dominio della donna e dell’uomo insieme.
La salvazione arriva sempre dal femminile. Anche nel Paradiso terrestre della Genesi il femminile salva e avvia il processo di separazione dall’Unità inconscia, con l’intento di recuperarla come cosciente attraverso il viaggio della vita. Il desiderio di conoscenza, vibra nel cuore dell’aspetto e spezza la Legge Divina per farne azione creatrice e realizzare l’opera nel divenire.
La creazione non è mai data una volta per tutte, neanche nell’Universo, e il fermarsi in un’immagine, nella forma falsamente compiuta dell’io, per quanto possa essere bella, è sempre qualcosa di parziale. Viviamo all’interno di un’Energia Creatrice che continuamente dona espressioni di sé. Il solo intuirlo dà un senso di vertigine a chi, come noi, resta compreso e compresso in un concetto della propria persona, che non si modifica.
Per entrare in un processo metamorfico abbiamo bisogno di renderci disponibili alla trasformazione. Questa benevolente apertura coglie nella crisi la ricerca di un superamento, e nella vita che conduciamo il non rispecchiamento di ciò che veramente siamo.
La nostra identità ha bisogno di ricrearsi continuamente, di non essere così stretta in una parvenza che non lascia intravedere la profondità degli accadimenti interni, che spingono per nascere. Nel definirci questo e quello, non diamo mai una momentanea traccia di noi, ma solidifichiamo la nostra realtà e la rendiamo inamovibile.
In tal modo, la nostra energia si riduce a palude, e perde la sua natura fluida, dinamica e trasformativa. La circoscriviamo in un’idea senza sospettare che essa è parte di una Forza più grande in continuo mutamento, e non potrebbe essere diversamente, vista la transitorietà dei suoi eventi dovuti alle sue necessità di nuova espressione.
Il nostro procedere fluidi è parte della nostra vera natura perché simile a quella del Cosmo, obbedisce alla stesse leggi e il fermarla costringerebbe la promessa di espansione dentro l’argine delle nostre consuetudini. Così, perdere la netta definizione dei tratti della personalità ci fa assumere forma nuova e una coscienza più ampia, vivacemente intenta a ricevere le informazioni necessarie per il rinnovamento.
Il nostro è un cammino leggero, che non prevede lunghe soste e bagagli pesanti e, quindi, lasciare lungo la via pezzi di noi, diventa inevitabile. Compiere la muta di una falsa vita apre le porte del cambiamento e impedisce il trattenerci laddove non possiamo più rimanere. Ma l’andare e il portarsi fuori dal conosciuto viene meno, se non lasciamo cadere tutte le sovrastrutture che ci imprigionano.
Non è un dettaglio superficiale, ma il punto dolente del tema che stiamo affrontando. Il peso della paura dentro, ci mette in contatto con quella parte di noi che non accetta la fine delle cose. Ogni verità certa su noi stessi ci struttura, ci fa credere di essere reali, pone le basi sostanziali della nostra esistenza, così come siamo, tutti di un pezzo. Ma la nostra condizione interna è molto diversa da quella che crediamo, noi siamo una caleidoscopica moltitudine, e la verità è sempre una verità del momento che cambia man mano che ci evolviamo.
Ci percepiamo come esperienza solida, perché non concepiamo la libertà assoluta nella quale siamo immersi, e ostacoliamo il concepimento poietico della nostra essenza. Di fatto temiamo l’impermanenza perché la colleghiamo alla morte, anziché alla creatività sottesa che da essa emerge, e perdiamo l’opportunità più grande, quella di rivelare il mistero che siamo attraverso una ciclicità di vita, morte, vita.
È interessante per noi sapere che possiamo far nascere il nuovo se stringiamo un’alleanza con il presente. La nostra forza è lì, perché in quell’eterno istante vibrano le innumerevoli frequenze che ci contengono e ci abitano. Solamente rinunciando alle molteplici idee su noi stessi potremo incontrarci e riconoscerci nella libertà della metamorfosi e fare della fine uno spazio nel quale reinventarsi.
Allora la nostra esistenza sarà come una danza, nella quale l’espressione del movimento, secondo la Coreografia Superiore, si accompagnerà all’abilità di improvvisazione di noi danzatori, alla nostra leggerezza nel vivere e al potere forte delle nostre radici che ci ancorano alla terra.

Immagine dell’articolo “In geometria Io vedo” opera di Gianfranco Caldarelli
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Niente nel niente, tutto nel Tutto

Non c’è niente nel niente, ma tutto nel tutto, non è un gioco di parole, ma serve a ricordarlo e a ricordarmelo, che la percezione della mancanza è un buco nel sistema, un vuoto di energia, che falsa la realtà dell’essere. Accade fin troppo spesso di rivolgere l’attenzione dentro di noi e non ritrovare chi siamo. Vaghiamo senza meta attorno alla circonferenza che delimita il nostro mondo e stringe un accordo con quello che è fuori, senza mai arrivare al centro, alla nostra vera essenza, dove esiste una libertà senza limiti e uno stato di abbondanza tale, che la nostra mente, non ancora svincolata dai condizionamenti, stenta a comprendere.

Il movimento centrifugo dell’energia ci allontana da noi stessi, si disperde, si svuota della sua brillantezza e trasforma la forza gioiosa del nostro cuore nello sguardo malevolo e nel ghigno sospettoso dello sbocciare dei talenti altrui, facendoci intercettare l’altro come un possibile depredatore delle risorse interne, e neutralizzatore di ogni possibilità di cogliere in noi stessi quel nucleo di latente intelligenza, che richiede di diventare competenza e potere. In questo stato di cose non ci viene poi così facile partecipare alla vita delle persone per trarne il piacere della scoperta, ma è più conveniente ignorare la loro ricchezza per mantenere intatta l’immagine, seppur indistinta, della nostra persona.

Non c’è niente nel niente, conviene saperlo fin da subito, la pochezza delle credenze interne su noi stessi genera la paura di osare richiamare la bellezza che crepita dentro, e di vederla fuori senza sentirci minacciati. Viviamo costantemente protesi verso l’esterno senza mai incontrarci, e disertando noi stessi ci è impossibile comprendere la complessità del nostro essere e la quantità di informazioni che albergano al nostro interno.

Se questo fosse possibile immaginarlo soltanto per un attimo, ci accorgeremmo della portata delle facoltà latenti a nostra disposizione e quanto queste siano impersonali, cioè, vivano al di là dello spazio angusto del sé individuale, e si rendano accessibili a tutti.

Se partiamo da questa suggestione e intuizione profonda possiamo muoverci nella gioia della relazione e nella condivisione del valore che ognuno può mettere in campo. L’esperienza e la qualità peculiare dell’altro, allora, può essere percepita come nostra, perché sottilmente inclusa nell’Unità che ci comprende e stretta da un legame di reciproca relazione. Nella diversità, ogni individuo esprime la propria forza creativa, la sua unicità, la sfumatura di tono che lo contraddistingue e che nell’interezza del quadro cosmico ha un suo preciso intento.

La gioia partecipativa, nello slancio che accoglie il mondo come molteplice espressione continuamente nascente, trasforma il nostro essere, se la sperimentiamo, lo completa, lo perfeziona. In questo movimento metamorfico, il trasferimento di qualità, visioni e gesti, riflessi di ciò che vive segreto nel nostro spazio sacro e profondo, penetra e rivoluziona la nostra condizione umana. La nostra mente si specchia e scopre la sua realtà in potenza e nel farsi tale spaziosità diventa più grande, esce dal suo immaginario confine e si espande.

Ogni particolare forma di linguaggio ci informa della totalità che mai si risolve ed entra prepotentemente dentro di noi come forza che ascende. Nella comprensione di ciò, la gioia può accaderci come scoperta inarrestabile, commozione, meraviglia ed entusiasmo incontenibile. Abitiamo la dimensione dell’abbondanza e la adottiamo come stile di vita integrale, senza divisioni. Non ci identifichiamo più con il ristretto campo del sé, ma ne usciamo diventando un Tutto nel Tutto.

Consapevoli di essere individuali e universali, consideriamo ogni vittoria altrui come il trionfo continuamente emergente della Vita e l’Umanità come l’espressione di un’unica anima che si muove in accordo con il suo insieme.
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La gentilezza

La gentilezza è l’affermazione culminante della cura, che emerge quando siamo aperti nei confronti di tutta la creazione.
Quando il nostro cuore è gentile rivolge la sua attenzione non solo a sé, ma all’intero Universo. Si muove con delicatezza e sensibilità nell’incontro con l’altro, e mentre percepisce il suo nucleo interno, si avvicina con rispetto, in punta di piedi, senza creare turbamento o sensazione di invasione.
La gentilezza è il protendere verso la bellezza in sé delle cose del mondo, senza sciupare e violentare l’innocenza che risiede in ogni oggetto della natura; è un‘offerta di raffinata premura, di presenza amorevole e una disponibilità che non si ritira neanche di fronte all’incongruenza.
Essere gentili è un’arte che si impara cominciando da se stessi, e può nascere nel momento in cui ci rendiamo consapevoli del nostro valore di essere umani.
Ogni individuo è una totalità potenziale, che emerge attraverso un processo di integrazione degli aspetti che contribuiscono alla complessità del suo essere. Se riconosciamo e accettiamo ogni frequenza che abita al nostro interno, siamo in contatto con la parte più gentile di noi, quella più accogliente. Siamo pazienti e generosi con noi stessi e stabiliamo un’autentica relazione, un dialogo profondo che coglie la forma più sottile della resa, quella di vincere la tentazione di accettare solo quello che sostiene la nostra idea di sé e di allontanare decisamente quello che può metterla in pericolo.
La gentilezza possiede il profumo della risoluzione dei disaccordi interni, una fragranza di soave armonia entro la quale risiede il suo intimo potere.
Quando siamo avvinti dal suo calore è facile per noi porgere la mano all’altro, essere solleciti a risollevarlo rimanendo semplicemente in ascolto. Se da essa siamo stati riconsegnati alla nostra interezza, siamo in grado di vederla negli altri e accogliere le zone buie che altrimenti scorgeremmo come proiezioni delle nostre ombre irrisolte.
La gentilezza è morbida, flessibile, cedevole, accorta, paziente; è la forza che concilia ogni incomprensione e l’amorevolezza che cura. È connessione e comunione, non ha confini, non è separativa, non è giudicante, e agisce nell’assenza di sé.
La gentilezza è la precisione del gesto quando non scivola indifferente e indolente, ma si sofferma. Gusta l’istante nella profondità dello sguardo che non superficializza l’azione, coglie i dettagli, le sfumature di cui poi diventa l’artefice consapevole.
Elegantemente sicura di sé danza sulla vita e si posa su di essa e sfiora, e accarezza, e nutre, e poi danza e si muove ancora, leggera ed estatica, autentica ed eterna.
Nella gentilezza scopriamo la lentezza sapiente dei gesti, la spaziosità del cuore quando è vuoto di contenuti; la naturalezza del vivere; essa è la presenza di fronte alla reale natura delle cose, in assoluto ascolto, aperta e libera.
Oggi la gentilezza è un lusso che pochi possono ancora permettersi. La vita ci ha scagliati prepotentemente contro la follia dello sviluppo veloce, e resi vittime del tempo che fugge. La comunicazione è diventata priva di profondità, frettolosa, sciatta, disordinata, confusa, egocentrica, molto spesso aggressiva, reattiva, e conserva dentro di sé l’idea segreta di oggettivare l’altro per raggiungere una qualche forma di piacere.
Abbiamo dato il nostro assenso a rubarci il significato della nostra stessa vita, è successo senza che ce ne accorgessimo, siamo stati d’accordo perché abbiamo creduto ad una promessa di felicità separatamente individuale e questo ci ha isolati dalla totalità e ha generato violenza nel nostro sistema.
Abbiamo dimenticato che il cuore è inclusivo e nutre, ama e guarisce sempre ciò che avvicina. E il suo segreto riposto incita la personalità al ricordo e verso l’urgenza della scelta, così da poter recuperare il tempo sottratto, rallentare il cammino, coltivare un atteggiamento quieto e concentrato, e lasciare che l’amabile gentilezza caratterizzi e rivitalizzi la nostra esistenza.
Piccole cose, fanno grandi i nostri giorni, li rendono poetici e fecondi, e macerano strati di ferite per farne humus dentro il quale piantare i semi della nostra nuova vita.

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È la risposta ciò che conta

“Ne parlo?, ma sì ne parlo”.
Lo ripeto da giorni e giorni, anche se la mia innata riservatezza resiste a raccontarlo, a gridarlo dai tetti delle case, a lasciare che passi di bocca in bocca, annunciato come un segreto rivelato. Mi sono chiesta più e più volte se l’urgenza dell’annuncio premesse alla porta della mente per nutrire la considerazione della mia persona, oppure arrivasse dalle profondità del cuore come un’onda spinta dal punto di domanda del mondo, in un momento in cui le risposte sono sospese.
Tenendo conto di essere una totalità all’interno della quale convivono voci differenti, provo a lasciare andare ogni riluttanza e pormi a equidistanza tra i bisogni dell’umano e le necessità dell’anima.
Quindi, ne parlo. Venti anni fa, esattamente il 22 febbraio del 2000, feci un sogno. Una, tra le tante esperienze oniriche che tengono ben stretto il filo d’oro che mi collega a Satya Sai Baba, il mio maestro. Il prezioso dono della relazione intima che mi onora e di cui sarò eternamente grata, risale al 1985, anno in cui per la prima volta ricevetti il primo insegnamento durante il sonno notturno. Da allora Baba è stato la mia amorevole guida e il mio luminoso sentiero per ritornare a me stessa.
Nel sogno del 2000, Swami mi disse: “La Terra non vedrà più il Sole per venti anni. Poi arriverà l’Era del Cristo”.
Intuivo, fin da allora, che per il risveglio globale dell’umanità sarebbe stato inevitabile attraversare la notte oscura dell’anima. E mi chiedevo cosa sarebbe accaduto.
Molto si può raccontare da quel momento in poi: il crollo delle Torri Gemelle, l’ondata di terrorismo, la guerra in Iraq e il susseguirsi di altri conflitti nel mondo, l’emigrazione di massa delle genti dell’Africa, in Europa, la crisi economica, la modificazione del clima, gli incendi devastanti, i terremoti, gli tsunami, le coltivazioni OGM, il 5G, la deforestazione indiscriminata, il moltiplicarsi degli allevamenti intensivi.
Lo scenario globale, prima della pandemia virale, aveva già contribuito ampiamente a sgretolare il sogno di felicità che pensavamo potesse realizzarsi, grazie allo sviluppo veloce a cui abbiamo assistito in questi ultimi decenni, in tutti i campi del sapere.
Ma il Covid-19 ci coglie di sorpresa, e in una manciata di tempo scivola sotto le porte delle case, sbaraglia ostacoli, non fa differenze, si posa su ogni cosa, e si intrattiene su ciò che lo trattiene. Con il respiro in bilico, tra la paura e l’incredulità, la nostra vita solida comincia a perdere pezzi di consistenza; sbiadiscono le storie, i significati, le idee, le scelte, i progetti, e il presente si congela in un fermo-immagine che non dà più spazio al divenire. Il suono sordo della confusione nella testa non ci permette di vedere in altro modo la situazione. E l’unica cosa che ci ritroviamo tutti a fare è organizzare le giornate per colmare il vuoto della solitudine e la paura di morire.
È vero, a una prima occhiata sembra che il virus sia arrivato per porci di fronte all’inconsistenza della nostra realtà, per distruggere le nostre sicurezze, per separare anziché unire. Eppure le vibrazioni sottili che viaggiano sotto la pelle della coscienza e premono per essere espresse gridano i loro nomi, proprio in questo tempo di distruzione e rivelazione.
Proviamo a immaginare, nominiamoli uno per volta e tra una pausa e l’altra, in modo che li sentiamo bene battere dentro il nostro cuore: Gioia, tump, speranza, tump, condivisione, tump, coraggio, tump, equanimità, tump, pazienza, tump, compassione, tump, altruismo, tump, comunione, tump, comprensione, tump, empatia, tump, solidarietà, tump, unità, tump, libertà, tump, pace, tump, consapevolezza, tump, servizio, tump.
Ogni battito ci scuote dal torpore, ogni parola si muove viva, mentre solleva la nostra vecchia pelle per far nascere quella nuova. Le qualità superiori e inclusive del nostro essere stanno già preparando la nostra metamorfosi e ci stanno aprendo all’esperienza più grande della Coscienza Unitaria.
L’Era del Cristo è un’età di condivisione e cooperazione, un tempo in cui le ragioni del profitto lasceranno il posto alle ragioni della Vita, tutta, intera e consapevole. Un’epoca che coinvolgerà l’intera creazione come un unico organismo, una sola mente e un solo cuore. Un momento evolutivo straordinario di pura espressione di vivente amore. Uno scenario memorabile che porterà in luce una nuova coscienza, un nuovo modo di essere umani, un nuovo tipo di intelligenza.
Non vuole, questa, essere una visione romantica in merito della quale il futuro viene presagito più roseo del presente. La vita camminerà sempre insieme al dolore e al piacere, questo è il suo modo di conoscere. È impensabile credere che le condizioni dell’esistenza migliorino con lo sviluppo della coscienza. Non ha niente a che vedere questa, con gli oggetti della rappresentazione che si svolgono nel tempo; semmai con la risposta sempre più abile che riserviamo alle necessità imposte dalla vita e con la sensibilità a cogliere il senso riposto e a farne motivo di crescita.
Istante dopo istante siamo impegnati a osservare consapevolmente ciò che accade dentro e fuori di noi, e a fare attenzione che non schizzi sull’anima e la imbratti con i colori dell’identificazione.
In altri termini, è la risposta quella che conta, e questa è sempre individuale. La nostra attenzione e la nostra disponibilità all’esperienza ci aiuta a trasformare anche il più intenso dolore in consapevolezza. La sua finalità mira a togliere dalla nostra vita ciò che non è essenziale, e in fin dei conti, niente lo è. La sua natura distrugge l’illusione dell’inamovibilità del nostro sé, il suo essere qualcosa di definito, solido e compatto, che non può fluire nel costante mutamento.
Oggi è il tempo della rivoluzione, della trasformazione radicale dell’ordine delle cose. È il momento di scegliere in quale modo essere dentro la vita. Come partecipare al gioco degli eventi. Come rovesciare la torre delle nostre certezze. Come ritornare alla nostra innocenza e interezza, all’appassionata curiosità, alla feconda creatività, alla lentezza dei gesti e alla calma riflessione.
La rivoluzione vive nell’istante di vuoto dove possiamo creare un nuovo modo di intendere la realtà, e uno spazio interno più ampio nel quale disfarsi e farsi continuamente. Essa è qui, vive dentro di noi nell’attimo presente, nell’assoluto silenzio della mente, nel centro che accoglie e sa di essere l’intero Universo.
Questa è la sola risposta.