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Creo, dunque divento

Il femminile è l’evidenza germinativa della creazione. È il potenziale inconscio che assume immagine e forma, e il penetrante sguardo interno, che cattura la certezza in un istante. Prerogative, queste, del femminile che è in ognuno di noi, dell’essere umano in genere, dominio della donna e dell’uomo insieme.
La salvazione arriva sempre dal femminile. Anche nel Paradiso terrestre della Genesi il femminile salva e avvia il processo di separazione dall’Unità inconscia, con l’intento di recuperarla come cosciente attraverso il viaggio della vita. Il desiderio di conoscenza, vibra nel cuore dell’aspetto e spezza la Legge Divina per farne azione creatrice e realizzare l’opera nel divenire.
La creazione non è mai data una volta per tutte, neanche nell’Universo, e il fermarsi in un’immagine, nella forma falsamente compiuta dell’io, per quanto possa essere bella, è sempre qualcosa di parziale. Viviamo all’interno di un’Energia Creatrice che continuamente dona espressioni di sé. Il solo intuirlo dà un senso di vertigine a chi, come noi, resta compreso e compresso in un concetto della propria persona, che non si modifica.
Per entrare in un processo metamorfico abbiamo bisogno di renderci disponibili alla trasformazione. Questa benevolente apertura coglie nella crisi la ricerca di un superamento, e nella vita che conduciamo il non rispecchiamento di ciò che veramente siamo.
La nostra identità ha bisogno di ricrearsi continuamente, di non essere così stretta in una parvenza che non lascia intravedere la profondità degli accadimenti interni, che spingono per nascere. Nel definirci questo e quello, non diamo mai una momentanea traccia di noi, ma solidifichiamo la nostra realtà e la rendiamo inamovibile.
In tal modo, la nostra energia si riduce a palude, e perde la sua natura fluida, dinamica e trasformativa. La circoscriviamo in un’idea senza sospettare che essa è parte di una Forza più grande in continuo mutamento, e non potrebbe essere diversamente, vista la transitorietà dei suoi eventi dovuti alle sue necessità di nuova espressione.
Il nostro procedere fluidi è parte della nostra vera natura perché simile a quella del Cosmo, obbedisce alla stesse leggi e il fermarla costringerebbe la promessa di espansione dentro l’argine delle nostre consuetudini. Così, perdere la netta definizione dei tratti della personalità ci fa assumere forma nuova e una coscienza più ampia, vivacemente intenta a ricevere le informazioni necessarie per il rinnovamento.
Il nostro è un cammino leggero, che non prevede lunghe soste e bagagli pesanti e, quindi, lasciare lungo la via pezzi di noi, diventa inevitabile. Compiere la muta di una falsa vita apre le porte del cambiamento e impedisce il trattenerci laddove non possiamo più rimanere. Ma l’andare e il portarsi fuori dal conosciuto viene meno, se non lasciamo cadere tutte le sovrastrutture che ci imprigionano.
Non è un dettaglio superficiale, ma il punto dolente del tema che stiamo affrontando. Il peso della paura dentro, ci mette in contatto con quella parte di noi che non accetta la fine delle cose. Ogni verità certa su noi stessi ci struttura, ci fa credere di essere reali, pone le basi sostanziali della nostra esistenza, così come siamo, tutti di un pezzo. Ma la nostra condizione interna è molto diversa da quella che crediamo, noi siamo una caleidoscopica moltitudine, e la verità è sempre una verità del momento che cambia man mano che ci evolviamo.
Ci percepiamo come esperienza solida, perché non concepiamo la libertà assoluta nella quale siamo immersi, e ostacoliamo il concepimento poietico della nostra essenza. Di fatto temiamo l’impermanenza perché la colleghiamo alla morte, anziché alla creatività sottesa che da essa emerge, e perdiamo l’opportunità più grande, quella di rivelare il mistero che siamo attraverso una ciclicità di vita, morte, vita.
È interessante per noi sapere che possiamo far nascere il nuovo se stringiamo un’alleanza con il presente. La nostra forza è lì, perché in quell’eterno istante vibrano le innumerevoli frequenze che ci contengono e ci abitano. Solamente rinunciando alle molteplici idee su noi stessi potremo incontrarci e riconoscerci nella libertà della metamorfosi e fare della fine uno spazio nel quale reinventarsi.
Allora la nostra esistenza sarà come una danza, nella quale l’espressione del movimento, secondo la Coreografia Superiore, si accompagnerà all’abilità di improvvisazione di noi danzatori, alla nostra leggerezza nel vivere e al potere forte delle nostre radici che ci ancorano alla terra.

Immagine dell’articolo “In geometria Io vedo” opera di Gianfranco Caldarelli